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Approfondimenti Lavoro

“SMART WORKING” TRA LE MISURE PER CONTRASTARE IL CORONAVIRUS

Tra le misure di emergenza emanate con il DPCM del 1 marzo per il contrasto alla diffusione del coronavirus c’è anche la semplificazione delle modalità di accesso al c.d. “lavoro agile” o smart working, e precisamente la possibilità per le imprese di tutto il territorio nazionale di attivare questa particolare modalità di lavoro dipendente anche senza l’accordo individuale, che è previsto espressamente dalla norma che regola questa materia. Precedentemente la stessa facilitazione era già stata prevista per sei regioni del nord, ma con il nuovo Decreto del 1 marzo la deroga è stata estesa a tutto il territorio nazionale.

Ma in cosa consiste lo smart working, che non va confuso con il “telelavoro”?

L’art. 18 della Legge 81/2017 definisce lo smart working “la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente presso il proprio domicilio o in una altro luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Ancora l’art 18 prevede che sia eseguito “senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale imposto dalla contrattazione collettiva”.

Una particolarità innovativa di questa forma di lavoro agile riguarda il potere di controllo del datore di lavoro, che viene esercitato sulla “prestazione resa dal lavoratore” e non tanto, per ovvie ragioni, sul rispetto dell’orario di lavoro e della effettiva presenza del dipendente sul posto di lavoro.

L’emergenza di questi ultimi giorni ha portato forzatamente ad incentivare l’utilizzo di questa forma di lavoro al fine di superare le limitazioni imposte e limitare il rischio di diffusione del contagio, ma lo smart working è una modalità di svolgere il rapporto di lavoro subordinato già presente nel nostro ordinamento e che, sebbene ancora in misura limitata, si sta sempre più diffondendo. Secondo l’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano nel 2019 hanno usufruito dello smart working 570.000 lavoratori con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente.

Si tratta di un numero limitato ma significativo se si considera che l’utilizzo è vincolato alle mansioni che devono essere svolte dal lavoratore (più facilmente applicabile agli impiegati, molto più difficilmente agli operai), e che sono comunque numerose le aziende che ne usufruiscono seppur marginalmente: sempre secondo il Politecnico di Milano le grandi aziende che già applicano forme di smart working sono ben il 58%.

Certamente lo smart working presuppone un profondo cambiamento organizzativo e culturale necessario per superare modelli di organizzazione del lavoro tradizionali. Restituire alle persone una maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare per svolgere le proprie attività lavorative significa creare organizzazioni più flessibili, introdurre approcci di empowerment, delega e responsabilizzazione delle persone sui risultati, favorire la crescita dei talenti e l’innovazione diffusa, ma questo va oltre l’attuale emergenza.

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